La storia di Edoardo

 

Il 1 gennaio 1999 il signor Edoardo Vaghetto da Bagheria compì 60 anni e decise che era arrivato il momento di decidere cosa fare da grande. Non che fino a quel momento non avesse fatto nulla, intendiamoci. Una carriera da sottufficiale dell’aeronautica, una moglie e tre figli, ormai grandi e, come ciliegina sulla torta, anche qualche nipotino appena arrivato. Ma in quel mese di gennaio dell’ultimo anno del secolo, e del millennio, il signor Edoardo avvertiva come l’urgenza silenziosa di un cambiamento.

Ancora pochi anni e sarebbe arrivata la pensione, poi avrebbe passato un po’ di tempo al bar, a giocare a tressette o a briscola, o si sarebbe reso utile in casa o in campagna, o avrebbe fatto finalmente il nonno a tempo pieno. Cose così, un modo normale, e niente affatto disdicevole, di invecchiare.

Invece il signor Edoardo Vaghetto, da Bagheria, continuava a pensare a un servizio televisivo che aveva visto solo pochi mesi prima al telegiornale della sera. Era un servizio che parlava della maratona di New York. Quelle immagini di migliaia di podisti di tutte le età che correvano attraverso le strade e sui lunghi ponti della Grande Mela erano entrate nel suo campo visivo, attraverso la coda dell’occhio, e non ne erano più uscite. Un’impressione che nei giorni seguenti non lo aveva abbandonato, ma aveva iniziato a scavare, sempre di più.

Edoardo a quei tempi frequentava spesso lo stadio ricoprendo un ruolo dirigenziale della squadra di calcio del Bagheria, che allora si barcamenava con difficoltà nei campionati dilettanti siciliani. Nello stadio ogni tanto capitava (e capita ancora adesso) di incrociare Tommaso Ticali, bagherese anche lui, il più importante allenatore di runner della Sicilia. Edoardo pensa che sia la persona giusta cui chiedere qualche informazione sulle corse e sulla maratona. Ticali risponde alle sue domande, colpito dalla spontanea gentilezza di questo signore: sì, la maratona di New York, certo, 42 km (e 195 metri), allenarsi è una pratica dura che richiede determinazione, costanza, fisico, gli dice, mentre davanti a loro gli atleti di Ticali, magri, sorridenti e giovani, si stanno riscaldando per una sessione di ripetute veloci.


– Mi prepareresti per correrla? gli chiede.

– Signor Vaghetto, Edoardo, la maratona non è una passeggiata.

– Lo so, ma io la voglio fare.

– Senza offesa, Edoardo, ma io alleno questi, li vedi.

Edoardo li vede, sì. Il più vecchio di loro probabilmente ha più o meno la metà dei suoi anni.

Ok. A questo punto il signor Edoardo Vaghetto da Bagheria, di anni 60, torna a casa e mette a punto il suo piano. La mattina dopo, sul presto, sua moglie lo vede uscire con un paio di scarpe da ginnastica e la tuta. Rientrerà 20 minuti dopo: ha appena fatto il suo primo allenamento, un giro di campo fatto interamente correndo. Il giorno dopo un nuovo allenamento e i giri di campo fatti di corsa diventano due. Poi tre, poi quattro.

Ticali, che è uno che per lavoro va a scovare giovani promesse dell’atletica leggera in giro per la Sicilia, lo incrocia un pomeriggio di qualche settimana dopo, ovviamente nello stadio di Bagheria. Ticali è uno che fra le tante qualità ne possiede una in particolare: sa riconoscere un uomo determinato.

I due si fermano a chiacchierare. Il giorno dopo si rivedono e l’allenatore consegna al suo nuovo allievo dei fogli. Sono le sue prime tabelle. 10 mesi per preparare la maratona di New York sono pochi, soprattutto se si parte da zero. Ma l’avvicinamento sarà progressivo, a partire dalla prima mezza maratona, che è programmata a fine aprile a Mazara del Vallo.

I giri di campo aumentano giorno dopo giorno, e a un certo punto arriva il momento di uscire dallo stadio, per strada, e a Bagheria, soprattutto uscendo dal traffico della città, lo spazio per correre non manca.

La mezza maratona è un successo, le gambe rispondono, Edoardo non si ferma. Arriva il caldo, le uscite per correre vanno anticipate alle sei del mattino. In famiglia i più perplessi sono i suoi figli, che è sta minchiata della maratona? si domandano fra di loro, mentre sua moglie lo incoraggia ad andare avanti. Quando gli amici lo vedono passare davanti al bar qualcuno fa una battuta, ma Edoardo è già lontano e non può sentirla.

Arriva il momento tanto atteso, che per Edoardo coincide con una serie di prime volte: la maratona, un volo intercontinentale, l’America. Tutto in solitaria. E poi il grande giorno, la partenza dal Ponte di Verrazzano, il pubblico che lo incita lungo tutto il percorso, le lacrime a Central Park.

Al suo rientro Edoardo scopre di essere diventato una piccola celebrità che, si sa, una notizia un po’ originale, cantava il poeta, non ha bisogno di alcun giornale. E’ il primo bagherese ad aver corso la Maratona di New York. Chiamano i giornalisti, arriva addirittura la televisione locale.

Edoardo ci ha preso gusto. Fa la sua seconda maratona a Palermo qualche mese dopo, poi a Napoli, a Roma, a Torino. Una media di tre o quattro l’anno. La corsa diventa la componente fondamentale della sua giornata. Nel 2003 torna addirittura a New York, desideroso di rivedere la città dopo la ferita dell’11 settembre.

Poi un bel giorno, nell’estate del 2005, Edoardo sta chiacchierando del più e del meno con degli amici. No, non sta chiacchierando del più e del meno, ma sta raccontando della sua passione per la corsa e le maratone. e uno del gruppo vien fuori con la storia di questo tipo, di questo medico, che è appena reduce da una gara di 100 km.

Edoardo si blocca, incredulo. 100 chilometri? Ma è possibile? In un giorno? Tutti in una volta? Con le proprie gambe? Il giorno dopo va a cercare questa persona. Ed è lì che sente per la prima volta questa parola: Passatore.

Ecco, breve nota per i non runner: la 100 km del Passatore è probabilmente la più famosa e partecipata ultramaratona italiana e una delle più celebri a livello europeo. arrivata quest’anno alla sua 43a edizione. La corsa parte da Firenze alle tre del pomeriggio del sabato e arriva a Faenza nel cuore della notte, o all’alba, o al mattino della domenica, a seconda del tempo di ognuno, lungo un percorso che, necessariamente, attraversa l’Appennino e i luoghi che, alla metà dell’Ottocento, hanno visto le gesta di un leggendario bandito, Stefano Pelloni, detto, appunto il Passatore.

Fine della noterella.

Dal 2006 ad oggi Edoardo non si è più perso un’edizione del Passatore. La prima volta (all’età di 67 anni) la chiude in poco più di 12 ore (per l’esattezza 12h01m35″, un tempo che gli vale il primo posto nella categoria M65), nelle edizioni successive ripete spesso l’exploit, anche negli anni in cui passa di categoria diventando un M70 e, dallo scorso anno, un M75.

Il Passatore diventa per Edoardo il suo punto fermo. Lui la definisce una parentesi di 12 ore nel corso della sua vita. Una sospensione del tempo, ma anche un viaggio dentro se stessi, nei propri ricordi, un appuntamento con la propria solitudine, e tanto altro ancora, fervore, rabbia, la forza di resistere da cercare negli angoli più riposti del proprio essere.

Come nell’edizione “dantesca” del 2013, dove tutti gli elementi, pioggia, vento e neve, decisero di scatenarsi in una notte contro i corridori provocando centinaia di ritiri e di abbandoni. Anche quella volta Edoardo resiste e dopo oltre 16 ore riesce a tagliare il traguardo.

Quello stesso anno torna a New York per la terza volta, adesso in compagnia di suo figlio più piccolo che compie 40 anni proprio in quei giorni.

Oggi Edoardo Vaghetto da Bagheria ha 76 anni, ed è il secondo ultramaratoneta al mondo nella categoria M75. davanti a lui una specie di fenomeno giapponese che risponde al nome di Kotaro Ikehara e che ha completato la distanza dei 100 km nel tempo di 12:25:17h, contro le 14:13:28h del nostro.

Il signor Edoardo Vaghetto mi chiede di chiamarlo Edoardo. Ha una voce gentile e pacata. Gli dico che ha vinto la sua sfida contro il bar. Poi gli chiedo cosa pensa quando ci passa davanti correndo e lui si mette a ridere.

“La corsa è ciò che mi aiuta a tener duro, mi dice Edoardo. Correre mi ha insegnato che nella vita, se lo vuoi, non si finisce mai. Quando vedo qualcuno che piange perché non ha vinto, perché è arrivato secondo io mi sento di dirgli che non bisogna piangere quando si perde. Bisogna riflettere e cercare di capire dove si è sbagliato. E’ quando si arriva primi che si può piangere”.

Questa storia ha una morale semplice, come quella di certe fiabe. Difficile non è arrivare, ma iniziare. E per capire cosa fare da grande a volte basta un giro di campo. Pensateci il giorno che compirete 60 anni.

Tratto da Storyrunning.it (storie di gente che non si ferma)